Settimanale
“Poviglio… news” Letture del giorno Orari Liturgici Oratorio San Filippo Neri Orari apertura Bar/Oratorio Catechismo e Catechesi Pastorale Familiare Università tempo libero Caritas Volontariato App Seguo la Messa Corso di chitarra “ChitarreSuonate” Cori parrocchiali Contatti parrocchia Bacheca Online Archivio parrocchiale Notizie dalla Diocesi... Unitalsi: link utili Blog missioni reggiane Circolo ANSPI Fodico Audio racconti/ riflessioni del don Caricamento... |
Riflessioni proposte da Don Alessandro, nelle tre serate degli Esercizi Spirituali (7-8-9 aprile 2025)›9 Aprile: LA RISURREZIONE◼ Dal Vangelo secondo Giovanni (Gv 20,19-31) La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il costato. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi». Dopo aver detto questo, alitò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi». ![]() Nel Vangelo apocrifo di Tommaso c’è un racconto parallelo alla parabola del tesoro nascosto: «Il Regno è simile a un uomo che, senza saperlo, ha un tesoro nascosto nel suo campo. Dopo la sua morte lo lasciò al figlio. Il figlio non ne sapeva nulla: ereditò il campo e lo vendette. Il compratore venne e, mentre arava, trovò il tesoro; e cominciò a imprestare denaro a interesse a quelli che voleva». La parabola sembra raccontare la situazione del cristiano, soprattutto del cristiano moderno, che ha ricevuto in eredità un tesoro, del quale però sembra non saperne nulla e che spesso nemmeno si preoccupa di cercare. Dormiamo sopra un tesoro di inestimabile valore che è la fede nella Risurrezione; è questo il cuore del vangelo, dell’annuncio cristiano. La cosa più bella che abbiamo da dare al mondo. È la Pasqua il cuore della nostra fede, il punto prospettico a partire dal quale sono stati scritti i vangeli, l’annuncio che impregna gli Atti degli Apostoli e le lettere del Nuovo Testamento. È questo il tesoro che ci è stato tramandato, ma su cui sembra che dormiamo. Come per la morte, come per il giudizio, la risurrezione sembra essere infatti un’idea astratta, che non ha niente a che fare con la mia vita. “Sì, si muore, ma non mi riguarda. Sì, si dovrà rendere conto della propria vita a Dio ma non toccherà a me. Sì, si risorge, ma non mi fa né caldo né freddo”. Se la risurrezione non è il cuore incandescente che alimenta tutta la nostra esistenza, allora, come scrive Paolo ai Corinti, “vana è la nostra fede” e “siamo da commiserare più di tutti gli uomini”. Che cosa ci stiamo a fare al mondo? Cosa ci sta a fare la Chiesa al mondo? Niente e nient’altro che ad annunciare questo: che Dio ha tanto amato il mondo da mandare nella pienezza dei tempi il suo unico Figlio a condividere in tutto, eccetto il peccato, la nostra condizione umana; che questo Figlio è morto a causa dei nostri peccati sulla croce, ma il Padre l’ha risuscitato il terzo giorno vincendo così la morte e spalancando le porte agli uomini alla piena comunione con Lui e tra di loro nell’eternità. Ecco allora che o tutto ciò che facciamo, dal Grest alla preparazione ai sacramenti, dal catechismo alle opere caritative ha come motivo, fondamento e fine questo, oppure è inutile, non ha senso farlo. Tante volte la Chiesa ha rischiato e rischia ancora oggi di essere come quel giornale che per vendere più copie si mise a offrire gadget e alla fine smise di stampare giornali e produsse solo gadget. Rischiamo di fare tante belle iniziative dove si è perso il fine ultimo del nostro essere al mondo e con esso il senso di quello che facciamo. Ci siamo solo per portare all’incontro con il Risorto e quello che facciamo o serve a questo o non serve. Lo stesso vale per la vita del credente: tante volte si perde l’orizzonte ultimo della vita che è l’incontro finale con il Risorto, per cui la vita non è altro che un lungo allenamento a prepararsi all’incontro con Gesù. La risurrezione è un termometro della fede e del rapporto con Dio, interroga sulla qualità del rapporto con Dio: come si può amare Dio senza vivere mai il desiderio di volerlo incontrare, abbracciare? Egli è certamente presente nella Chiesa e nel mondo in diverse forme, tuttavia l’amore verso Dio non può non portare a desiderare di vederlo faccia a faccia. Chi è quel tale che ama una persona e non desidera mai incontrarla? La vita del credente è come quella di due innamorati che vivono a distanza di chilometri. Esistono tante forme che permettono di rimanere in contatto, ma queste non spengono il desiderio impellente che arrivi il momento in cui ci si può incontrare, abbracciare, baciare, guardare negli occhi, stare insieme. È l’esperienza che la pandemia ci ha fatto fare: possono esistere infinti modi per rimanere in contatto, ma niente può sostituire la presenza, la vicinanza fisica. È l’esperienza del cristiano che vivendo lontano da Dio ha innumerevoli modi di rimanere in relazione con Lui ma, come l’innamorato, non vede l’ora giunga il giorno in cui poterlo finalmente incontrare, vedere, abbracciare. Dovrebbe essere l’esperienza di ogni eucarestia domenicale, che insieme alla gioia dell’incontro ci lascia l’acquolina in bocca nel dire: “Se è così bello incontrarti in queste forme mediate che sono i sacramenti, chissà come sarà bello incontrarti di persona”. Come è successo per Gesù e la scrittura dei vangeli, così avviene anche per noi: è l’evento finale che illumina ciò che ci sta prima. È la Risurrezione che porta i discepoli a rileggere tutto ciò che c’è stato prima, di modo tale che i vangeli sono già impregnati di risurrezione, perché sono la rilettura degli eventi passati alla luce del cuore della vicenda di Gesù. È la risurrezione che porta i discepoli a riconoscere Gesù come Figlio di Dio, Dio fattosi uomo. È l’evento finale che illumina ciò che ci sta prima, così come per il cristiano è la sua destinazione finale, l’eternità in Dio, con Dio, che illumina la sua vita terrena. La vita è allora come un film in due parti dove al cristiano è data la possibilità di avere lo spoiler sulla seconda parte, sa come andrà a finire il film. Ecco che, come scrive Berger: «La “vita eterna” non è qualcosa di trascendente, bensì soltanto la parte invisibile dell’unica vita, della tua unica vita. Poiché il mondo è soltanto uno, esiste soltanto un’unica regola del gioco, la vita eterna o si ottiene qui o non si ottiene affatto». Ecco che la fede nella risurrezione illumina la vita, perché ne risolve la questione centrale che è la paura di finire nel nulla. La morte è ciò con cui facciamo i conti ogni giorno, la domanda fondamentale alla quale cerchiamo di rispondere: che ne sarà di me una volta che non ci sarò più? Chi si ricorderà di me? La fede nella risurrezione dona serenità all’oggi perché dona un fondamento stabile ed eterno alla propria identità, alle proprie relazioni e al proprio agire: non si finirà nel nulla, ma tutto entrerà nella gloria di Dio. La resurrezione è la certezza che io non sparirò nel nulla, che nulla di ciò per cui mi spendo va perduto, ma tutto viene ridonato in modo trasfigurato e, soprattutto, ho la certezza che le relazioni che segnano la mia vita non andranno perdute. Sono liberato dall’ansia prestazionale delle relazioni, da una presenza asfissiante nella vita dell’altro per ricordagli che esito, trovo l’energia per rimanere fedele nella fatica e nella sofferenza, nel rifiuto, perché nella vita futura continuerò a vivere quelle relazioni in una veste nuova, liberata dalle fatiche e incomprensioni proprie della vita terrena. Se la nostra vita non si conclude qui, ma prosegue in pienezza nella vita eterna, per cui in paradiso ritroveremo tutto quello che abbiamo amato in questa vita, allora diventa possibile accettare il sacrificio, la fatica e il saper pazientare in questa vita. Contemplare la meta verso la quale siamo incamminati ci permette di respirare a pieni polmoni nei momenti di affanno, perché tutto non finirà su questa terra. Liberato dalla paura del finire nel nulla il cristiano può fare, come Gesù, della sua vita un dono di amore perché non ha più nulla da perdere ma tutto da guadagnare. Sapendo qual è la meta verso cui è in cammino, la pienezza dell’amore nella comunione con Dio e con i fratelli, il cristiano cerca, per come gli è possibile, di anticipare quella meta, di viverla, per come si può, già ora. Ecco che se la vita eterna è amore, la vita terrena diventa caparra di quell’amore, anticipo di quella pienezza che vivremo ed ecco che il cristiano cerca di vivere già ora il suo futuro. Sapendo che nulla gli appartiene, ma tutto gli è donato e che quindi non ha nulla da perdere, il cristiano può dedicarsi al comandamento più importante: amare Dio e il prossimo e lo può fare senza paure e senza risparmi. Infatti, solo se liberati dalla paura della morte e proiettati verso i beni eterni si può comprendere e vivere la follia di un amore per il quale lo spreco è legge, la sovrabbondanza è l’unica misura. E sa che tutto questo ha senso perché lo ritroverà in cielo perché l’amore genera immortalità, è l’unica cosa che persiste alla morte. Scrive Ratzinger: «Se egli è risorto, anche noi risorgeremo, perché l’amore è più forte della morte». Ecco che, come nel caso del giudizio, anche qui il cristiano è avvantaggiato perché sa qual è l’unica cosa che resiste oltre la morte: l’amore. Per questo, se saggio, può dedicarsi su questa terra a lavorare per l’unica cosa che si porterà nell’altra vita: l’amore. “Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarma e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulate invece per voi tesori in cielo, dove né tarma né ruggine consumano e dove ladri non scassinano e non rubano”. Da quando papa Francesco ha scritto l’Evangelii Gaudium, tutti, a giorni alterni, abbiamo sulla bocca la parola gioia, il cristiano dev’essere gioioso, annunciare con gioia, la Chiesa gioiosa… Poche volte però, mi sembra, si sottolinea quale sia l’origine di questa gioia che il papa mette invece ben in chiaro: “La gioia del vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia”. Ma questo incontro con Gesù è possibile solo e soltanto se Gesù è una persona viva, risorta. Viva non nelle sue idee o nel suo pensiero, ma corporalmente viva. Diceva Cantalamessa nei riti di Avvento: «Per i cristiani la fede nella vita eterna non si basa su discutibili argomenti filosofici circa l’immortalità dell’anima. Si basa su un fatto preciso, la risurrezione di Cristo, e sulla sua promessa: “Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. […] Vado a prepararvi un posto”. Per noi cristiani la vita eterna non è una categoria astratta, è piuttosto una persona. Significa andare a stare con Gesù, a “fare corpo” con lui, a condividere il suo stato di Risorto nella pienezza e nel gaudio ineffabile della vita trinitaria». Scriveva Biffi. «È indispensabile su questo punto dissipare ogni possibile ambiguità. L’annuncio pasquale: “è risorto” (che è il nucleo originario della fede cristiana) dice che Gesù di Nazaret, un uomo morto duemila anni fa sulla croce, oggi è veramente, realmente, corporalmente vivo. Vivo in se stesso: non nel suo messaggio, nel suo esempio, nel suo influsso ideale sulla storia umana; non nei poveri, nei fratelli, nella comunità; che sono tutte immanenze di Cristo vere, mirabili, decisive per la vita ecclesiale, ma posteriori alla verità primordiale e sorgiva del Cristo corporalmente vivo nella sua personale identità». È ciò che cercano di farci comprendere i vangeli quando insistono sulla corporeità del Risorto. È ciò che ci testimonia il vangelo ascoltato: il corpo glorioso del Risorto è ancora segnato dalla croce e sono proprio le piaghe della croce la prova del nove che coloro che vedono non è un fantasma, ma quel maestro che avevano seguito per tre anni e che anche noi vedremo. Ecco allora che può scrivere ancora papa Francesco: “Non mi stancherò mai di ripetere quelle parole di Benedetto XVI che ci conducono al centro del Vangelo: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e, con ciò, la direzione decisiva»” e ancora “non fuggiamo dalla risurrezione di Gesù, non diamoci mai per vinti, accada quel che accada”. O la nostra gioia si fonda sull’incontro con questo Gesù corporalmente vivo perché risorto e preludio del nostro destino ultimo oppure è aria fritta, vendiamo fandonie che prima o poi cadranno nel nulla. Se si conosce la meta si illumina il cammino, si sa su cosa investire la vita, se non si conosce la meta tutto diventa più duro e arduo, nebuloso, si fanno investimenti a caso, secondo l’andazzo del momento. Chissà che forse anche certe nostre difficoltà esistenziali, pesantezze, paure non nascano dal dimenticarci qual è la meta della nostra esistenza, ciò verso cui siamo incamminati. Chissà che non nascano dall’abbassare un po’ troppo lo sguardo su di noi e su questa terra, invece di contemplare la dimora che Cristo ci sta preparando. Scriveva il vescovo Delpini: «L’arte di essere contenti viene da una sapiente considerazione della vita. Colui che è saggio e coltiva uno spirito di fede sa che il regno dei cieli comincia in questa vita, ma il suo compimento, il paradiso, non è su questa terra: non si aspetta la pienezza della gioia come un’esperienza di appagamento senza ombre, quasi senza futuro. Sa che tutto è precario: non drammatizza eccessivamente le prove, non si esalta eccessivamente nei momenti di grazia. Accoglie tutto con umiltà e riconoscenza, perché sa che Dio è grande. Colui che è saggio sa che il nostro cuore è fatto per Dio e non si aspetta che una creatura possa colmarlo: per questo non pretende troppo per sé stesso dall’amicizia, dalla comunità, dalle persone. Colui che è saggio ha imparato che ci sono cose che non servono a niente e per questo se ne tiene lontano: arrabbiarsi, avvilirsi, rimproverare chi non vuol capire, attendersi lo zelo dai pigri, riconoscenza dagli egoisti, ecc..:». Siamo consapevoli che Gesù ci sta preparando una casa accanto a Lui in cielo? Che anche a noi, come al ladrone pentito, dice: “Sarai con me nel mio Regno”? Il vangelo che abbiamo letto è la conclusione originale di Giovanni il quale scrive per una comunità che non ha visto il Risorto e per questo vengono proclamati beati “quelli che non hanno visto e hanno creduto”. È la stessa preoccupazione di tante lettere di Paolo, rinforzare la speranza, la certezza nel fatto che Cristo è risorto e che noi un giorno saremo con Lui. Credere nella risurrezione non è certamente facile, soprattutto farla diventare la logica che irradia ogni nostra singola giornata, ogni nostra scelta e ogni nostro atto perché il problema non è il credere intellettuale, ma il credere esistenziale. Come nella parabola da cui siamo partiti, abbiamo ereditato un tesoro nascosto sotto il terreno, sta a noi scegliere se dormirci sopra, venderlo oppure scavare e cercarlo e questo lo possiamo fare solo incuriosendoci, indagando questo mistero, ponendo delle domande e cercando, chiedendolo in dono dallo Spirito e, soprattutto, contemplandolo. Questo è l’unico modo per avere la vita perché, come scrive Giovanni alla sua comunità, tutto ciò che ci è stato trasmesso, ci è stato trasmesso perché crediamo che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiamo la vita nel suo nome. Vita terrena e vita eterna, perché questo Gesù, un giorno, lo incontreremo e allora sì che sarà gioia piena ed eterna. |
Ricerca nel sito: Contenuti recenti: ... |
Link rapidi
Settimanale “Poviglio… news” Letture del giorno Orari Liturgici Oratorio San Filippo Neri Orari apertura Bar/Oratorio Catechismo e Catechesi Pastorale Familiare Università tempo libero Caritas Volontariato App Seguo la Messa Corso di chitarra “ChitarreSuonate” Cori parrocchiali Contatti parrocchia Bacheca Online Archivio parrocchiale Notizie dalla Diocesi... Unitalsi: link utili Blog missioni reggiane Circolo ANSPI Fodico Audio racconti/ riflessioni del don Home | Archivio | Gallery | Mailing list | Contribuisci | Eventi | Oratorio | Parrocchia | Contatti | App | Info e Cookie
Chiesa di Poviglio - Diocesi di Reggio Emilia-Guastalla
Lunedì 28 Aprile 2025 • ©2012-2025 Parrocchia Poviglio
Reindirizzamento in corso...
|
Commenti pagina:
Caricamento...